Giorgio Bedogni 1, Anna Laura Fantuzzi 2, Athos Borghi 3
1 Unità di Epidemiologia Clinica, Centro Studi Fegato, Basovizza, Trieste.
2 Modulo di Dietetica e Nutrizione Clinica, Azienda Sanitaria Locale, Ospedale di Baggiovara, Modena.
3 Dipartimento di Medicina Interna, Ospedale Universitario Policlinico, Modena.
Il metodo (dal greco meta, “attraverso” e odos, “strada”) è una maniera sistematica per ottenere qualcosa. Il metodo della scienza è detto empirico (dal greco en, “sul” e pur, “fuoco”) perché le ipotesi degli scienziati vengono sottoposte alla prova dei fatti. La metodologia è spesso definita come un approccio sistematico all’ acquisizione di nuova conoscenza. In verità, la scienza non si fonda tanto sull’ acquisizione di nuova conoscenza quanto sulla conferma indipendente di quella esistente.
I filosofi dibattono da molto tempo l’ esistenza o meno di un “metodo” in grado di separare la scienza da altre attività umane, anche se questa distinzione non implica alcun giudizio di valore. Il titolo di questa serie mette sufficientemente in risalto il fatto che noi – come tutti i “ricercatori” – crediamo che la conoscenza possa avanzare soltanto grazie a un approccio sistematico. Chi fosse interessato ad approfondire le controversie filosofiche relative al metodo può iniziare con un’ esposizione generale di filosofia della scienza [1].
2. La struttura di uno studio
Le componenti essenziali di uno studio clinico sono riportate in Tabella 1 [2].
Fattibilità: sono disponibili le risorse e le competenze tecniche richieste dallo studio ?
Interesse: Il ricercatore è interessato personalmente al progetto ?
Novità: lo studio è davvero necessario o vi sono già sufficienti evidenze ?
Etica: lo studio rispetta le norme di etica ?
Rilevanza: quanto è rilevante lo studio per la conoscenza scientifica, la medicina e la salute pubblica ?
Tabella 1
Uno studio mira a rispondere a una domanda rilevante per il ricercatore e, possibilmente, per la comunità. Differenti domande implicano differenti disegni di studio. Uno studio clinico viene condotto su degli individui (“soggetti”) misurando delle variabili di outcome e dei predittori e richiede un’ analisi statistica adeguata. L’ esempio riportato in Tabella 1 riguarda uno studio randomizzato controllato che ha testato l’ efficacia del dietista nella prevenzione dell’ incremento ponderale in pazienti psicotici in trattamento con olanzapina [3].
La Figura 1 riporta le fasi fondamentali di uno studio clinico [2].

Figura 1
Formulata la domanda a cui lo studio deve rispondere, si procede con la definizione e la realizzazione del piano di studio. I risultati dello studio possono essere estesi al di fuori dello studio se i soggetti studiati sono rappresentativi di una popolazione generale (“inferenza esterna”).
Il protocollo di studio è l’ organizzazione coerente e logica del progetto di ricerca. La versione iniziale del protocollo è breve e serve per fissare e valutare lo studio nel suo insieme (Tabella 1). Il protocollo evolve continuamente in contenuto e dimensione fino ad assumere la forma finale.
3. La domanda dello studio
La domanda dello studio è l’ incertezza che il ricercatore desidera risolvere attraverso lo studio. Nell’ esempio riportato in Tabella 1, la domanda riguarda l’ efficacia del dietista nella prevenzione di una complicanza di un trattamento farmacologico. La domanda dello studio origina tipicamente dalla ricerca precedente (propria ed altrui), dalla frequentazione di congressi, dall’ osservazione dei pazienti e dai quesiti raccolti e selezionati nel corso dell’attività didattica. Prima di utilizzare tempo e risorse per rispondere a una domanda, è indispensabile verificare se qualcuno abbia già trovato una risposta. Non si dovrebbe mai rifare la scoperta di Westheimer: “un paio di mesi in laboratorio spesso fanno risparmiare un paio d’ ore in biblioteca” [4]. Una buona domanda di studio soddisfa le cinque categorie del criterio “FINER”: fattibilità, interesse, novità, etica, rilevanza (Tabella 2).
Domanda: può un processo di educazione nutrizionale effettuato da un dietista ridurre l’ incremento ponderale in soggetti psicotici in trattamento con olanzapina ?
Rilevanza: l’ olanzapina è un farmaco anti-psicotico molto efficace ma induce rapidamente un incremento ponderale.
Disegno: studio randomizzato controllato. Gruppo sperimentale: 6 sessioni di educazione nutrizionale effettuate da un dietista nell’ arco di 3 mesi. Gruppo di controllo: assenza di educazione nutrizionale (procedura standard presso il centro psichiatrico dove è stato effettuato lo studio).
Soggetti: pazienti psichiatrici ambulatoriali in trattamento con olanzapina da meno di 3 mesi.
Variabili e metodi: outcome primario: incremento ponderale a 3 e 6 mesi dall’ inizio del trattamento; predittore: educazione nutrizionale effettuata dal dietista. (La randomizzazione protegge lo studio dall’ effetto di fattori confondenti noti e ignoti e quindi non vengono considerati altri predittori oltre al trattamento).
Analisi statistica: confronto dell’ incremento ponderale a 3 e 6 mesi nel gruppo sperimentale e in quello di controllo. (Dettagli analitici omessi).
Tabella 2
4. I soggetti dello studio
Uno studio può utilizzare un campione per rappresentare una popolazione. Il campione consente di fare inferenze sulla popolazione studiando un numero inferiore di soggetti. Il vantaggio del campionamento è dunque la sua efficienza. Se il campione non è rappresentativo della popolazione, l’ inferenza esterna non è possibile. La definizione della popolazione precede, dunque, quella del campione e si basa su criteri di inclusione ed esclusione. È importante essere parsimoniosi nell’ impiego dei criteri di esclusione per evitare di compromettere la generalizzabilità dello studio [5]. Il campionamento può essere probabilistico – la variante migliore ma non sempre possibile o necessaria – o di convenienza. Il campionamento di convenienza non consente inferenze sicure come il campionamento probabilistico. Lo studio riportato in Tabella 1 ha utilizzato un campione di convenienza di pazienti psicotici in trattamento con olanzapina. Questo campione non era rappresentativo di una popolazione ma ciò non era troppo rilevante per l’ obiettivo dello studio.
5. Le variabili e i metodi dello studio
Le variabili sono le misure dei fenomeni di interesse. L’ outcome è la variabile di interesse primario per il ricercatore e viene messa in relazione con i predittori. L’ outcome dello studio riportato in Tabella 1 è la riduzione dell’ incremento ponderale in soggetti psicotici in trattamento con olanzapina. Il predittore – come sempre accade per gli studi randomizzati controllati – è il trattamento sperimentale, ovvero l’ intervento del dietista.
I metodi dello studio consentono di ottenere le misure dei fenomeni di interesse. Prima di utilizzare un metodo di misurazione, è indispensabile conoscere (almeno) la sua precisione e accuratezza. La precisione è il grado entro il quale misurazioni ripetute della stessa variabile producono il medesimo valore. Se una bilancia ha una precisione del 2% significa, ad esempio, che lo stesso soggetto pesato su quella bilancia in occasioni differenti presenta valori di peso che si discostano del 2%. (Ciò implica, ovviamente, che il peso del soggetto non subisca variazioni intrinseche tra una misurazione e l’ altra.) L’ accuratezza è il grado entro il quale la misurazione ottenuta con una tecnica indiretta si avvicina al valore reale ottenuto con una tecnica di riferimento. Se, ad esempio, l’ accuratezza di una formula per la stima del dispendio energetico basale a partire da peso, età e statura è del 20% rispetto alla calorimetria indiretta, significa che la formula può sbagliare del 20% rispetto alla tecnica di riferimento. Le strategie per aumentare la precisione e l’ accuratezza delle misurazioni sono riportate in Tabella 3.

Tabella 3
6. I disegni di studio
Uno studio può essere sperimentale o osservazionale. Uno studio sperimentale offre al ricercatore la possibilità di intervenire direttamente sui predittori per controllare l’ outcome. La variante più importante di studio sperimentale è lo studio randomizzato controllato. La randomizzazione – ovvero l’ assegnazione casuale dei soggetti ai gruppi dello studio – protegge i risultati dello studio dall’ effetto dei fattori confondenti noti e, ciò che più conta, ignoti. L’ esempio riportato in Tabella 1 è uno studio randomizzato controllato. Uno studio osservazionale si limita ad osservare i fenomeni di interesse senza modificarli. (Naturalmente, l’ atto dell’ “osservare” può indurre modificazioni del fenomeno di interesse, ma ciò che conta è che queste modificazioni non sono controllabili dal ricercatore come accade per uno studio sperimentale). Gli studi osservazionali non consentono pertanto inferenze causa-effetto solide come uno studio sperimentale.
Le tre varianti principali di studio osservazionale sono: 1) lo studio trasversale, 2) lo studio di coorte e, 3) lo studio caso-controllo. Lo studio trasversale consente una stima di prevalenza, ovvero del numero di soggetti con una determinata caratteristica sul totale dei soggetti studiati. Lo studio di coorte offre una stima di incidenza, ovvero del numero di nuovi soggetti con una determinata caratteristica sul totale dei soggetti studiati. Lo studio caso-controllo confronta un gruppo di soggetti con e senza una determinata caratteristica in relazione all’ outcome di interesse. La Tabella 4 fornisce un esempio di questi tre disegni di studio.
Studio trasversale
“Qual è la prevalenza di malnutrizione nel mio Ospedale ?”. Conto i pazienti malnutriti in un periodo di tempo determinato e li divido per il totale dei pazienti che ho esaminato nello stesso periodo.
Studio di coorte
“Qual è l’ incidenza di malnutrizione nel mio Ospedale ?”. Conto i pazienti senza malnutrizione all’ ingresso che hanno sviluppato la malnutrizione durante la degenza e li divido per il totale dei pazienti senza malnutrizione all’ ingresso.
Studio caso-controllo
“C’ è un’ associazione tra malnutrizione e anemia nei pazienti del mio Ospedale” ? Conto i casi di anemia tra i pazienti malnutriti e li confronto con quelli dei pazienti non malnutriti. NB: lo studio caso-controllo non consente alcuna inferenza del tipo causa-effetto e rappresenta un primo stadio di indagine. Per questo abbiamo utilizzato il termine generico di “associazione”.
Tabella 4
Abbiamo già osservato che lo studio randomizzato controllato è l’ unico disegno di studio in grado di proteggere i risultati dall’ effetto dei fattori confondenti. Il confondimento è uno dei quattro errori potenziali di uno studio. Esso si realizza quando l’ associazione predittore-outcome è confusa da un terzo fattore associato al predittore e all’ outcome. Lo studio può evidenziare un’ associazione spuria anche in ragione di un errore casuale e/o sistematico. L’ errore casuale è sempre in atto e una delle strategie per ridurlo è quella di aumentare la precisione delle misurazioni (Tabella 3). (La strategia più importante per ridurre l’ errore casuale è arruolare nello studio un numero adeguato di soggetti). L’ errore sistematico è collegato al concetto di accuratezza: maggiore è l’ accuratezza e minore è l’ errore sistematico (Tabella 3). In ultimo, è possibile l’ inversione del rapporto causa-effetto: quello che riteniamo essere l’ effetto è in verità la causa e viceversa.
7. Aspetti etici
Il codice di Norimberga (1947) ha regolato per primo gli studi scientifici su esseri umani. Ad esso ha fatto seguito il codice di Helsinki (1964) rivisto per l’ ultima volta nel 2004. Il Belmont Report (1979) ha fissato i tre principi regolatori oggi utilizzati dai codici di etica: 1) rispetto della persona, 2) beneficenza, 3) giustizia. Dal punto di vista operativo, il “rispetto della persona” implica l’ ottenimento del consenso informato, la protezione delle persone con capacità decisionale ridotta (soggetti “vulnerabili”) e il rispetto dell’ anonimato; la “beneficenza” implica un disegno scientificamente valido e una distribuzione accettabile tra rischi e benefici, compresa la considerazione prioritaria della sicurezza e integrità di ogni singolo soggetto anche in competizione con gli interessi della società; la “giustizia” implica che benefici e svantaggi siano distribuiti equamente anche dal punto di vista delle implicazioni socio-economiche (Esempio: è “giusto” sperimentare un farmaco in un paese in via di sviluppo per ridurre i costi quando il farmaco sarà utilizzato pressoché esclusivamente in un paese “sviluppato” ? [6]). Per gli studi di trattamento, è importante tenere presente la sostanziale asimmetria di terapia e ricerca, soprattutto nel momento in cui si informano i soggetti potenzialmente arruolabili: la terapia viene fatta con un trattamento di provata efficacia per migliorare la salute del paziente mentre la ricerca viene fatta con un trattamento di efficacia incerta per aumentare la conoscenza. Negli ultimi anni si è sviluppata una particolare attenzione a limitare i conflitti d’interesse che possono interferire con l’attendibilità dei risultati delle ricerche e quindi influire sul patrimonio delle conoscenze scientifiche e sulla pratica professionale che da esse trae spunto.
8. Considerazioni conclusive
La ricerca è uno strumento fondamentale per la crescita della conoscenza, deve essere sostenuta per rispondere alle incertezze cruciali sugli interventi sanitari ed è importante l’impegno di tutti perché sia realizzata nelle migliori condizioni scientifiche e di rispetto della dignità psicobiologica e sociale di tutti gli individui coinvolti. Che si “faccia” o no ricerca, tutti dobbiamo “interpretarla” criticamente per le sue implicazioni sulla nostra pratica professionale [7]. Questa serie di articoli si è posta il modesto obiettivo di fornire una visione d’ insieme della metodologia della ricerca per stimolare un approccio critico all’ “evidenza”. Se qualcuno dei lettori sarà stimolato da questa serie di articoli a “fare” ricerca con accresciuta ponderazione etico-scientifica, la nostra soddisfazione sarà ancora maggiore.
9. Bibliografia
1. Giorello G. Introduzione alla filosofia della scienza. Milano: RCS; 1994.
2. Hulley SB. Designing clinical research. Philadelphia, PA: Lippincott Williams & Wilkins; 2007.
3. Evans S, Newton R, Higgins S. Nutritional intervention to prevent weight gain in patients commenced on olanzapine: a randomized controlled trial. Aust N Z J Psychiatry. 2005;39(6):479-86.
4. Block A. La legge di Murphy del 2000. Longanesi; 1999.
5. Koch E, Otarola A, Kirschbaum A. A landmark for popperian epidemiology: refutation of the randomised Aldactone evaluation study. J Epidemiol Community Health. 2005;59(11):1000-6.
6. Angell M. Investigators’ responsibilities for human subjects in developing countries. N Engl J Med. 2000;342(13):967-9.
7. Straus SE. Evidence-based medicine: how to practice and teach EBM. New York: Elsevier/Churchill Livingstone; 2005.