IL CONTRIBUTO DEL METODO ALLA PRATICA PROFESSIONALE
Giorgio Bedogni
Unità di Epidemiologia Clinica, Centro Studi Fegato, Basovizza, Trieste
Il metodo (dal greco meta, “attraverso” e odos, “strada”) è una maniera sistematica per ottenere qualcosa. Il metodo della scienza è detto empirico (dal greco en, “sul” e pur, “fuoco”) perché le ipotesi degli scienziati vengono sottoposte alla prova dei fatti.
La metodologia è spesso definita come un approccio sistematico all’acquisizione di nuova conoscenza. In verità, la scienza non si fonda tanto sull’acquisizione di nuova conoscenza quanto sulla conferma indipendente di quella esistente. I filosofi della scienza (epistemologi) dibattono da molto tempo l’esistenza o meno di un metodo in grado di separare la scienza da altre attività umane, anche se questa distinzione non implica (o non dovrebbe implicare) alcun giudizio di valore. Per quanto mi riguarda, concordo con Susan Haack che, in un libro che dovrebbe essere letto da qualunque ricercatore, scrive (1):
“È la ricerca scientifica sistematicamente differente dalla ricerca empirica quotidiana? No. La ricerca scientifica è una continuazione della ricerca empirica quotidiana – solo lo è un po’ di più. C’è una modalità d’inferenza o una procedura di ricerca utilizzata da tutti gli scienziati e soltanto da essi? No. Ci sono, da una parte, modalità d’inferenza e procedure di ricerca utilizzate da tutti i ricercatori e, dall’altra parte, speciali strumenti matematici, statistici o tecniche d’inferenza, ecc., propri di una particolare area della scienza. Tutto ciò mina le pretese epistemologiche della scienza? No! Le scienze naturali sono epistemologicamente distinte e hanno ottenuto i loro grandi successi in parte proprio in ragione di quegli strumenti speciali e tecniche con cui hanno amplificato i metodi della ricerca empirica quotidiana” (tradotto dall’inglese).
Altrove ho affrontato il problema della ricerca da un punto di vista strettamente metodologico (2). Il mio compito odierno è allo stesso tempo più semplice e più complicato. Più semplice perché non introdurrò alcun strumento metodologico più o meno familiare; più complicato perché dovrò far apparire come ovvio qualcosa che generalmente non lo è, ovvero che la scelta di applicare il metodo nella nostra professione ha profonde ragioni etiche.
Non trovo parole migliori di quelle usate da Karl Popper per mettere in risalto le basi etiche della scienza. Tutte le frasi successive sono tradotte da uno splendido saggio di Mariano Artigas intitolato “La natura etica della teoria della conoscenza di Karl Popper” e fanno riferimento a diversi libri e articoli dello stesso Popper:
“I principi che formano la base di ogni discussione razionale, cioè di ogni discussione che sia intrapresa per cercare la verità, sono innanzitutto principi etici”
“1. Il principio di fallibilità: forse io ho torto e tu hai ragione. Ma potrebbe essere che entrambi siamo in errore. 2. Il principio della discussione razionale: noi vogliamo provare, nella maniera più impersonale possibile, a soppesare le ragioni pro e contro una determinata teoria… 3. Il principio dell’approssimazione alla verità: noi possiamo avvicinarci alla realtà in una discussione che evita attacchi personali…”
“È bene notare che questi principi sono sia epistemologici sia etici. Perché implicano, tra le altre cose, la tolleranza: se io ho speranza di imparare da te, e se io voglio imparare nell’interesse della verità, allora io non soltanto devo tollerarti ma anche riconoscerti come un potenziale uguale; la potenziale unità e uguaglianza di tutti gli esseri umani costituisce in qualche modo un prerequisito della nostra disponibilità a discutere razionalmente i problemi”
“I principi etici formano la base della scienza. L’idea della verità come principio regolativo fondamentale – il principio che guida la nostra ricerca – può essere considerato un principio etico. La ricerca della verità e l’idea di approssimazione alla realtà sono anche principi etici; come lo sono l’idea dell’integrità intellettuale e della fallibilità, che conducono all’auto-critica e alla tolleranza”.
E qui interviene la scelta personale. Il razionalismo non si sceglie da solo per il semplice fatto che non può essere scelto su basi razionali: ciò porta a una contraddizione logica (3). Karl Popper, sempre citato da Mariano Artigas, lo scelse (giovanissimo) con questa argomentazione:
“Io odio la violenza e non mi inganno credendo che essa abbia basi razionali. O, messo in altri termini, il mio razionalismo non è autocontenuto ma riposa su una fede irrazionale nell’attitudine della ragionevolezza. Io non vedo come si possa andare oltre. Uno potrebbe dire che la mia fede irrazionale nei diritti uguali e reciproci di convincere gli altri e di essere convinto da loro è una fede nella ragione umana; o, semplicemente, che io credo nell’uomo”.
Come ho argomentato nella mia presentazione delle posizioni ANDID sulla pratica professionale del dietista intitolata: “Medicina basata sull’evidenza: il metodo al servizio del paziente” (4), io scelgo la Medicina basata sull’Evidenza per tre ragioni: 1) perché è incentrata sul paziente, che è al centro della mia professione di medico; 2) perché è un metodo che consente di accrescere la mia conoscenza al servizio del paziente; 3) perché necessita di un operatore per il suo esercizio. Ho utilizzato quest’ultimo argomento implicito nel secondo solo per convincere i più recalcitranti che una pratica professionale basata sull’evidenza non rappresenta un nemico ma un alleato per la nostra professione.
Bibliografia
1. Haack S. Defending Science - within Reason. Amherst: Prometheus Books, 2007.
2. Artigas M. The Ethical Nature of Karl Popper’s Theory of Knowledge. Bern: Lang, 1999. http://bit.ly/fiFGHR
3. Bedogni G, Fantuzzi AL, Borghi A. Introduzione alla metodologia della ricerca. Rivista dell’Associazione Nazionale Dietisti 2007;2;17-20. http://bit.ly/f8U6ca
4. Bedogni G. Medicina basata sull’Evidenza: il metodo al servizio del paziente. Rivista dell’Associazione Nazionale Dietisti 2005;numero speciale 2;5-7. http://bit.ly/fxA3yJ